lunedì 5 novembre 2012

Passione musical, tra palco e montagne...

Invariabilmente, ogni volta che abbiamo appuntamento al cinema, il mio moroso è sempre in ritardo...invariabilmente, io mi infilo in libreria a sbavare nel reparto dvd (tanto che oramai non mi chiede neanche più dove sono, mi cerca direttamente lì)...invariabilmente finisce che spendo un patrimonio...
Tra gli ultimi acquisti, un classico dell'era aurea hollywoodiana: Sette spose per sette fratelli, che sostituirà un'ormai usurata e alquanto obsoleta videocassetta registrata (anche se mi mancheranno le pubblicità anni 90 che c'erano in mezzo...)
Obbligatorio mi sembra dunque stilare una mia personale top 3 dei musical:

3) Spettacolo di varietà, anno 1953, regia Vincente Minnelli.
La sceneggiatura è firmata da Betty Comden e Adolph Green, coppia artistica e anche nella vita, che con eleganza e voglia di divertire imbastiscono una storia perfetta per l'interpretazione di un ormai maturo (ma ancora in pista) Fred Astaire e una giovane e seducente Cyd Charisse. Musical spettacolo, in quanto si narra dell'allestimento di un nuovo lavoro da palcoscenico, da non perdere la scenetta dei 3 gemellini (Astaire, Fabray, Buchanan). That's entertainment!

2) Cantando sotto la pioggia, anno 1952, regia Stanley Donen (quindi una garanzia).
Gene Kelly, Debbie Reynolds e Donald O'Connor: un musical metacinematografico in cui si affronta, tra le altre cose, il traumatico passaggio dal muto al sonoro (con tutte le conseguenze, belle e brutte).
Kelly è un figo come suo solito, O'Connor è un pagliaccio (Make 'Em Laugh!) e la Reynolds è un amore. Anche qui sceneggiatura di Green e Comden.

1) Come ho già detto, Sette spose per sette fratelli, anno 1954, regia di nuovo Stanley Donen.
Un'ora e mezza di aitanti boscaioli che cantano e ballano indossando camicie dai colori improbabili e trasudando comunque virilità! Meravigliosa Jane Powell, strafottente ma in fondo in fondo tenero Howard Kell, all'epoca una delle più belle voci maschili del panorama musicale cinematografico.
Guardatelo, se non altro è un buon esercizio per la memoria (devi capire come si chiamano i sette fratelli, come si chiamano le sette sposine, chi sta con chi...gran confusione) ma divertimento assicurato!!!

lunedì 22 ottobre 2012

Premio Dardos...grazie grazie

Eccomi di nuovo di ritorno!!!!
Mi dovete scusare, ma sono un po' un diesel ad adattarmi a nuovi stili di vita e siccome nelle ultime settimane sono passata dai ritmi di uno studente in vacanza a uno nuovamente impegnato (poi metteteci anche un'insolita e per molti versi educativa avventura di cui vi parlerò più avanti, forse, se fate i bravi bimbi), mi sono persa un attimo....
Allora...
Innanzitutto ringrazio di cuore la mia amichetta Giulia Stelladineve con il suo blog, che mi ha concesso l'onore del Premio Dardos,
 
un premio internazionale che viene assegnato dai blogger ai blog meritevoli per contenuti di carattere culturale, etico o letterario. 
Stando a quanto mi è sembrato di capire, se vieni nominato negli elenchi devi:

- linkare il blog che ti ha designato (fatto)
- premiare altri blog meritevoli, al massimo 15, avvisandoli del premio

Ora, mi trovo un attimo in difficoltà....
Siccome mi sono avvicinata relativamente da poco al magico mondo dei blog, mi sono data un gran da fare cercando, pian piano, di visitarne il maggior numero possibile...
Per questo, ho leggiucchiato a destra e a manca, trovando molto spesso post che mi interessavano parecchio e altre volte opinioni che non condividevo (come è giusto che sia).
Di conseguenza, non essendomi ancora affezionata a uno in particolare dei tanti blog di cinema che leggo, non mi sembra giusto scegliere 15 vincitori in base alle mie ancora misere conoscenze..spero con ciò di non offendere nessuno!!!
Ho deciso quindi di dare il premio a un numero estremamente esiguo di blogger: sono stati i primi che ho iniziato a seguire e che tuttora leggo con regolarità:

- Giulia Stelladineve  (mi sembra giusto ri-assegnarti il premio, non fa mai male averne 2), Stelladineve
- Laelly (ottime ricette!), La Mattarella - a casa di Elisa  

Lo so, sono solo 2, ma ripeto, non mi sono ancora fatta un'idea globale e mi dispiacerebbe escludere blogger meritevoli solo perchè non li ho ancora incrociati nel mio cammino...Grandi poteri comportano grandi responsabilità...
Se per caso in futuro mi sarà ridata l'occasione di premiare qualcuno, sicuramente farò di meglio!
Buon impegno a tutti!!!!


martedì 18 settembre 2012

Ring, arene e guardaroba: The Ram, Katniss e...Carla Gozzi

Sono di nuovo qui e mi scuso fortemente per non aver scritto nulla nelle scorse due settimane, ma prima le mie meritate vacanzine (Londra, tanto bella, mille foto fatte agli scoiattoli), poi 2 matrimoni in due sabati consecutivi e un po' di lavoro/studio arretrato mi hanno sottratto tempo (e anche un po' la voglia di criticare gli altri)...Ma adesso sono qui, a criticare...
Le critiche possono anche essere positive: negli ultimi giorni ho finalmente visto The wrestler e Hunger Games, dopo aver tanto rimandato perchè non ci avrei scommesso un euro. Intendiamoci, non discutevo sul valore o la bellezza dei due lavori (The wrestler aveva vinto a Venezia, doveva per forza essere di un certo spessore), ma credevo che non mi sarebbero piaciuti, che non fossero di mio gusto.
Sbagliavo.
Dunque, The wrestler è un film del 2008 di Darren Aronofsky, il giovane regista che poi nel 2010 girerà il malatissimo ma molto bello Il cigno nero che ha fatto vincere l'oscar alla Portman.
Mickey Rourke, abbastanza a pezzi (ma sempre più in forma che in Sin City), è il wrestler Randy "The ram" Robinson, leggenda degli anni '80 e ora ridotto a un catorcio umano, senza affetti e senza soldi, che si sente a casa solo sul ring (dove però lo chiamano sempre meno). La figlia non vuole saperne di lui, la solo persona che gli sta vicino è la spogliarellista Cassidy (Marisa Tomei, che mostra le sue rughe da quarantenne ma anche un fisico da ventenne, invidia invidia), che però non vuole più di un'amicizia.
Dopo un attacco di cuore, Randy fa i conti con sè stesso e cerca di rimettere in ordine la sua vita, ma le cose non vanno come sperato e tornerà nel solo posto che può chiamare famiglia, tra i suoi ammiratori.
Girato volutamente sottotono, la telecamera segue Randy più che mostrarlo (spesso lo si vede camminare di spalle), dando l'impressione agli spettatori di spiare nella sua vita, di essere testimoni del suo declino.
Evoca emozioni contrastanti: da una parte ti ritrovi a odiare Randy e la sua passività, dall'altra non si può fare a meno che partecipare al suo dolore. Un film dolce e triste, che mostra un mondo di guerrieri che in realtà sono solo bravi (e spesso innocui) stuntman...
Hunger Games: avevo paura di rimanere delusa, per questo avevo posticipato continuamente la visione...
Io sono un'orfana di Harry Potter (a Londra ho comprato la bacchetta di Bellatrix!!!!!) e dopo tante cavolate tipo Twilight (mamma mia che tristezza), Percy Jackson (mamma mia che cavolata) e altre cose simili, temevo anche questo potesse lasciarmi l'amaro in bocca.
Invece, Katniss e il suo arco mi hanno conquistata. L'atmosfera cupa iniziale, un misto tra 1984 di Orwell, V per vendetta (che poi da Orwell ha preso spunto) e lager nazista, già fanno capire che il film non verterà su domande tipo "sopravviverò senza il mio caro vampiro scintillante?" ma su questioni ben più importanti come "Sopravviverò?" (e basta?). Se lo chiede Katniss, determinata sedicenne che si offre volontaria, per salvare la sorellina, come tributo, per essere rinchiusa in un'arena con altri 23 ragazzi, con la certezza che solo uno resterà vivo. Con lei c'è Peeta, il fanciullo in difficoltà che la ama segretamente. Però il tema centrale non è l'amore tra i due (che poi non è che...vabbè guardatelo), ma la lotta tra il bene e il male, tema centrale anche in Harry Potter e infilato anemicamente anche in Twilight (solo per venarlo di serietà, tentativo NON RIUSCITO...ok la smetto di parlare male di sti 2, ma se volete leggere qualcosa di vampiresco vi consiglio Anita Blake, molto meglio anche se un po' splatter...).
Di conseguenza, correrò a leggermi Hunger games, scritto da Suzanne Collins, e aspetto trepidante i prossimi capitoli filmici...

Ultima cosa...un appunto televisivo. Nonostante io ami pazzamente Real Time, per tutti i programmi carini, stupidini e golosini (quando arrivi a casa stanca, con il mal di testa, dopo che hai stuudiato tutto il giorno, un po' di tv brainless è quello che ci vuole per rilassarsi) ma a volte anche divulgativi e informativi (per quanto la scusa fosse far vedere matrimoni kitch e orripilanti, Il mio grasso grosso matrimonio gipsy era anche una finestra sociale su una comunità con valori molto diversi dai nostri), queata volta non ci siamo proprio! Carla Gozzi, mi deludi. Io che amo Ma come ti vesti?, mi aspettavo di più.
Dal promo, il suo nuovo programma, Guardaroba perfetto, sembrava una figata: questa ti viene a casa con la sarta, tira fuori dall'armadio i vestiti più scrausi che hai e che non metti da secoli, e ti dice come rimodernarli e sfruttarli. Invece questo nella prima puntata l'ha fatto solo con un vestito (che dopo la macchina da cucire, tra l'altro, secondo me era peggio di prima), mentre si è limitata a dare consigli del tipo "Per andare al lavoro, metti il completo pantalone nero con un top colorato per dare luce" (Ma vaaa? non l'avrei mai detto...), oppure "Ravviva questo vestito spento con una collanona iper colorata" (e bruttissima)...Boh...sarà che avevo troppe aspettative...

domenica 2 settembre 2012

Rimedi meccanici contro l'isteria...

Ma quanto è carino questo film!
Ieri sera ho visto Hysteria, un film uscito in Italia questo inverno, della regista Tanya Wexler, che altro non è se non la storia dell'invenzione del vibratore (eh lo so sta settimana il tema è questo).
In sostanza, con il termine isteria, alla fine dell'800 in Inghilterra, si indicava tutto il gruppo dei normali disturbi femminili di cui tutte noi soffriamo: crisi premestruale, voglia di fare all'amore, voglia di picchiare a sangue il marito, insoddisfazione...tutte quelle cose che ci fanno fare un sano piantino per sfogarci...
Dunque, per i dottoroni idioti e maschilisti del tempo, non era concepibile che una donna non trovasse soddisfazione nello stare a casa a curare i figli ed essere ben vestita...eh...cosa potrebbe volere di più una donna (santo cielo!?!)...quindi se eri incazzata o insoddisfatta, eri malata per forza...
La cosa che fa più ridere in assoluto, e che testimonia le contraddizioni di base che popolano la mente maschile, è che l'isteria, nei casi meno gravi, si curava con...un massaggio pelvico (che è esattamente quella cosa che avete capito!)
Il massaggio, spiegano i dottori, serviva solamente a rilassare l'utero, tanto la donna non provava piacere, è noto che una donna non può raggiungere il piacere se non con la penetrazione dell'organo maschile (Sììììììììììì certo, ma intanto le pazienti non erano sceme e si godevano il trattamento)
Il film racconta di questo giovane dottore che, logorata la mano a forza di massaggi pelvici, con un amico inventore (Rupert Everett, in una di quelle parti da spostato che gli vengono tanto bene) brevetta un massaggiatore elettrico, antenato del moderno vibratore.
Di contorno, tutta una serie di personaggi tra cui la ex prostituta Molly (che fa un sacco ridere quando illustra al dottore ciò che potrebbe offrirgli) e la sufragetta idealista di Maggie Gyllenhaal, così spontanea e combattiva che a un certo punto rischia grosso (la cura più drastica per l'isteria era l'isterectomia, barbari medici maschilisti inglesi).
Sicuramente non è un capolavoro (ma non vuole neanche esserlo) e non sarà annoverato tra le pietre miliari del cinema, ma è uno di quei film in cui ridi dall'inizio alla fine e che nella sua semplicità ti conquista, un po' come Calendar Girls o Abbasso l'amore.
Certo, alcune cose sono un po' improbabili (non credo che la regina Vittoria si sia davvero fatta consegnare un vibratore, o, se l'ha fatto, tutta la mia stima) ma non c'è bisogno di prenderlo troppo sul serio, e il divertimeno è assicurato!!!

lunedì 27 agosto 2012

Cinquanta sfumature di INVIDIA, NOIA, ESASPERAZIONE

Mi ero ripromessa di non fare commenti su Cinquanta sfumature finchè non avessi letto tutti e tre i libri. Ieri ho finito l'ultimo. Preparati E. L. James, non avrò pietà per te.
Il primo l'ho comprato al mare e l'ho iniziato sotto l'ombrellone (questo già fa capire che non mi aspettavo granchè)...mi era stato venduto (cioè tutte le donne del mondo lo dicevano) come un libro erotico.
Le questioni sono due
1. o io ho gusti molto elevati in fatto di erotismo, il che può essere, avendo letto Fanny della Jong a 12 anni (rubato a mia sorella) e ovviamente anche Fanny Hill di Cleland, non ci facciamo mancare niente, e avendo continuato per queta strada negli ultimi dieci anni...
2. buona parte di queste donne sono sessualmente frustrate e hanno poca fantasia (o amanti poco collaborativi)
Non è erotico, è pornografico! L'erotismo è una cosa sottile...i più bei libri erotici quasi non raccontano niente del sesso...anzi lo lasciano solo immaginare che è anche meglio...o comunque non lo tirano in ballo ogni tre per due...
Non è umanamente pensabile che questi ceffi facciano 5 round a notte TUTTE LE NOTTI! Lei avrà finito le scorte di vagisil di tutte le farmacie vicine!
Il peccato è che la storia di per sè stessa è anche carina...le avventure di queste povera donna (insipida e ingenua...ma dove vivi?) che conosce lo stronzo megalomane Gray è anche avvincente...
Anche il modo in cui è scritto, a metà tra un armony e la Kinsella, è interessante, peccato che dal primo al terzo libro lo stile verta sempre più sul lezioso e il banale...
E poi...ci sta che lui qui abbia tutti i suoi complessi a causa della sua storia personale ecc...però NON ESISTE CHE TU, DONNA DOTATA DI UNA CERTA CULTURA E INTELLIGENZA CHE VIVI NEL 2011, TI FACCIA TRATTARE IN QUESTO MODO! Gray è l'esemplare peggiore di maschio che può capitare: è GELOSO, MEGALOMANE, MANIACO DEL CONTROLLO, LUNATICO, SEMPRE ARRAPATO (ok, non è sto gran difetto, ma a lungo andare è logorante), SI INCAZZA SE NON GLI UBBIDISCI (non ha capito proprio), TI TERREBBE VOLENTIERI A CASA DA LAVORARE, TI FA REGALI COSTOSI SOLO PER FAR VEDERE CHE SE LI PUò PERMETTERE...ma scherziamo????
Ok, è anche ricco sfondato, ti chiede di sposarlo dopo 2 mesi, quando vuole è romantico...ma tutto il pacchetto non si può!
Potrei scomettere che la James ha messo in bocca a Grey (quando è nella versione buona) tutto ciò che dovrebbe dire l'uomo ideale (e senza spina dorsale), visto il livello di romanticismo melenso e parole che vorrebbero essere trasgressive o eccitanti, ma che alla fine risultano scontate o dissacranti (se uno mi dice certe cose a letto o gli rido in faccia o gli tiro un pugno...)
Arrivare alla fine, e ci volevo arrivare perchè, ripeto, la storia è carina, è angosciante...ogni volta che fanno l'amore (cioè sempre) è l'ennesima ondata di noia...
E poi, doveva essere così trasgressivo, con tutti quei giochi erotici, le fruste ecc...e poi dice pochissimo...Così non vale...

venerdì 24 agosto 2012

Cinema e letteratura made in China...il fascino delle lanterne rosse

Sono sempre stata incredibilmente attratta dall'oriente...dalla Cina per esempio.
Credo sia particolarmente interessante il fatto che un regime autoritario, iperconservatore e statico come il fu sistema imperiale sia riuscito a produrre grandiose opere d'arte, d'architettura e raffinatissime espressioni culturali, molte delle quali distrutte o accantonate con la rivoluzione culturale. Ma io non sono qui a fare politica.
Un'eco degli antichi fasti si può rintracciare in Addio mia concubina (1993) di Chen Kaige: tre personaggi per una storia raffinata, che lascia l'amaro in bocca. Al centro del triangolo amoroso troviamo Duan Xiaolou, cantante e attore, che è amato platonicamente e istericamente da Cheng Dieyi, suo partner in scena, e carnalmente desiderato dalla prostituta Juxian. Se da una parte Xiaolou rivela una mentalità aperta (sposa Juxian e prova un affetto fraterno nei confronti di Dieyi, pur conoscendo i suoi veri sentimenti), alla fine l'avranno vinta il suo egoismo e la sua paura: in pericolo a causa dei rivolgimenti politici del paese, non esita a rinnegare la sua vita e la sua arte, causando l'inevitab ile tragedia finale.
 Il titolo, Addio mia concubina, deriva dall'opera lirica che insistentemente viene riproposta dai due attori in scena: il compianto Leslie Cheung interpreta magistralmente il suo ruolo femminile, facendoci capire quanto a suo agio sia dietro la maschera della concubina. Un'affresco triste e prezioso su un mondo, la ricca ed esageratamente curata lirica cinese, che non tornerà più.
Lanterne rosse (1991) è forse il capolavoro del regista Zhāng Yìmóu,più conosciuto al pubblico per lo sboronissimo La foresta dei pugnali volanti (che personalmente non mi ha fatto impazzire).
Gong Li è Songlian, quarta moglie di un ricco nobile, nella Cina degli anni '20. Nella cornice elegante ed asfissiante della grande casa, si consumano le gelosie e le prepotenze di queste donne, la cui sola ragione di vita è ottenere le lanterne rosse, segno del favore del loro signore.
Se nel libro Mogli e concubine di Su Tong, da cui il film è tratto, venivano messi maggiormente in risalto l'interiorità e i pensieri di Songlian, il regista mette l'accento sui rapporti di rivalità tra le mogli e la lotta per il prestigio, che porterà solo morte e follia.
Con Amy Tam ci spostiamo sull'altro lato del Pacifico: statunitense ma di origini cinesi, è l'autrice di un toccante romanzo al femminile, Il circolo della fortuna e della felicità, da cui è stato tratto un (ahimè) non troppo famoso film nel 1993, diretto da Wayne Wang.
Il circolo della fortuna e della felicità riunisce quattro donne cinesi, emigrate negli Stati Uniti in seguito ai dolori e alle delusioni patite in patria: durante la guerra Suyuan, credendosi vicina alla morte, ha abbandonato le sue due gemelline sperando di garantire loro un futuro migliore; Lindo è riuscita con furbizia e destrezza a sottrarsi a un matrimonio combinato; Am-Mei ha vendicato la madre ingannata e disonorata e Ying-Ying è scappata dal crudele marito, perdendo però il suo bambino.
Anni dopo le loro figlie, nate e cresciute in America, più o meno felici o di successo ma comunque integrate nella loro società, ritrovano sè stesse e il proprio valore nei racconti sofferti delle madri.
Una dimostrazione della forza e della pazienza delle donne.

martedì 21 agosto 2012

Apprezziamo il cacciatore e la strega...ma Biancaneve non è all'altezza...

Capita a tutti di lasciarsi convincere ad andare al cinema a vedere un film di cui avrebbero volentieri fatto a meno. Dopo qualche capriccio interiore e la seria considerazione di aggregarmi ai maschietti per I Mercenari 2 (almeno lì lo sai già cosa stai per guardare) ho seguito le femminucce.
Film in questione: Biancaneve e il cacciatore.
Mi sono detta: Katia, dai una possibilità a questo film, magari non è brutto, c'è la Theron, c'è quel bel ragazzo di Thor...il problema era Kristen Stewart: da buona Harrypotteriana incallita, lei è Tabù.
Non fidatevi di chi ama sia Harry Potter che Twilight: il suo cuore non è sincero.
Comunque...l'idea di rivedere una fiaba in chiave gotica non è male: il buonismo Disney ormai ha stancato, e ci si avvicina di più alle tetre e agghiaccianti atmosfere dell'originale dei Grimm.
La strega cattiva (Charlize Theron) oltre ad essere una gnocca stratosferica, avere un guardaroba da fare invidia a Carrie Bradshaw e farsi il bagno nel latte misto vinavil (ricetta di bellezza di Giovanni Muciaccia), è VERAMENTE cattiva e poi si chiama Ravenna, il chè è apprezzabile.
Il cacciatore convince bene nella parte del cialtrone ubriaco e sborone, dopotutto è Chris Hemsworth, si è tolto la parrucca bionda ed è un piacere per gli occhi.
I nani sono un sacco simpatici, picchiano come dei dannati, sono del numero sbagliato, prendono in giro i loro colleghi Disney e fanno volentieri ricorso alla scatologia.
Bene, di chi mi sono dimenticata? Ah sì...Biancaneve...
Le intenzioni erano buone, davvero, ma cavolo...quella donna lì è monoespressione...
Il personaggio era carino, è bella una Biancaneve che scappa e impara a tirar di spada invece di pulire e fare le crostate...ma lei non ce la può fare...anche il discorso finale alla William Wallace (o alla Aragorn, come volete) non è credibile...ne devi mangiare ancora un bel po' di pappa...
E soprattutto, lei è carina, ma non regge il confronto con la regina..."Io sono la più bella del reame!" "No ciccia, io sono Charlize Theron al massimo del mio splendore nonostante abbia quasi 40 anni, NON CREDO PROPRIO TU SIA PIù BELLA DI ME".
E con questo ho detto tutto. Unica consolazione, il cacciatore non è diventato re.


lunedì 13 agosto 2012

Ognuno ha i suoi brutti vizi...io guardo Terra Nostra

Ebbene sì, lo ammetto. Sono una patita di Terra Nostra.
E sono consapevole di quanto poco edificante sia la cosa. Un po' come le sigarette, che sai che fanno male ma non riesci a smettere. Bene, io non fumo, non bevo (tanto), non mi drogo (anche se a volte sembra...)...però guardo Terra Nostra.
Per chi non avesse avuto il piacere, Terra Nostra è una telenovela brasiliana di 12 anni fa, che come intreccio ricorda un po' Beautiful però qui la gente ha età verosimili (secondo i miei calcoli Brooke ormai dovrebbe avere quasi 60 annio e ne dimostra 45...contro l'operazione di SORAS applicata a tutti i ragazzini che invecchiano di 15 anni in una puntata...mah!!!).
Comunque, tornando a noi, Terra Nostra è la storia di un gruppo di emigranti italiani che a fine '800 parte a cercare fortuna in Brasile; sulla nave si incontrano e si innamorano Giuliana (Ana Paula Arosio) e Matteo (Thiago Lacerda), ma all'arrivo vengono separati e non riusciranno a coronare il loro sogno d'amore se non dopo mille peripezie, matrimoni e figli con altri, coincidenze assurde come tutte le telenovele e una buona dose di disperazione.
Il mio innamoramento è stato probabilmente causato dal fatto che quando lo hanno trasmesso per la prima volta avevo 10 anni, ed ero rimasta affascinata da costumi e ambientazioni, che erano stati ricreati veramente bene.
Tra l'altro, la serie è composta da 221 (scusate se è poco) puntate da 1h, una mole di lavoro immenso che probabilmente ha richiesto un sacco di tempo e un sacco di soldi. Non è fatta al risparmio e si vede.
La storia, per quanto strappalacrime e giustamente melensa (ma neanche così tanto), regge molto bene, i personaggi sono tanti ma tutti hanno una loro collocazione, un proprio carattere e non sono statici, tutti evolvono (di solito in bene) nel corso della vicenda.
Le battute di spirito e le occasioni per farsi una rista non mancano e sono anzi necessari per tenere in equilibrio una storia così complessa.
Vengono affrontati anche argomenti spinosi, come il divorzio e la schiavitù, ma ci sono anche tematiche molto belle, come la storia d'amore tra il signor Francesco e Paola, di 30 anni più giovane, e la ritrovata intesa tra i coniugi Telles de Aranha che li porterà ad avere l'agognato figlio maschio quando sono oramai nonni.
Certo sono presenti tutti quegli espedienti tipici delle soap, come i personaggi che ripetono fino allo sfinimento ciò che è successo (per fare riepilogo a beneficio del pubblico), due o tre frasi ad effetto per puntata e in chiusura colpo di scena o gran monologhi filosofici.
Però tutto sommato è carino e può anche insegnare delle cose, è piacevole da vedere e dopo un po' comincerete a rivolgervi alla gente usando espressioni come "Mio caro amico" o "Maledetto" e "Caspita!".
Sì lo so, ho bisogno di una vacanza!

giovedì 9 agosto 2012

Quando Jack dà i numeri: Forman, Kubrick, Burton

Jack Nicholson è considerato uno dei più grandi attori del novecento. Fin qui tutti d'accordo.
Ha ottenuto il maggior numero di nomination all'oscar (12), vincendone 2 come attore protagonista con Qualcuno volò sul nido del cuculo e Qualcosa è cambiato (1998) e 1 come non protagonista con Voglia di tenerezza (1984).
Forse a causa della sua bravura nell'interpretazione di ruoli difficili, forse per la sua faccia tutta particolare, fatto sta che i suoi personaggi meglio riusciti non sono mai tutti a casa.
Tre esempi: Randle McMurphy, Jack Torrance e il Joker.
In Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Milos Forman, è un detenuto, finito in un ospedale psichiatrico per essere vagliato. I medici infatti sospettano che stia solo fingendo di essere pazzo per evitare i lavori forzati. Quello che Randle non sa è che, se risultasse malato, potrebbe essere trattenuto in ospedale a tempo indefinito.
Per questo, invece di starsene buono, si comporta da sovversivo e cerca di scuotere gli animi degli altri pazienti, esortandoli a ribellarsi ai metodi disumani con cui vengono trattati e alle angherie psicologiche dell'infermiera Ratched. Quando alla fine, dopo un festino e un tentativo fallito di fuga, la Ratched provoca il suicidio di Billy, ragazzo fragile e amico di Randle, questo si avventa su di lei e per poco non la uccide. Considerato ormai incontrollabile, viene sottoposto a lobotomia; il finto sordomuto indiano, "Grande capo" Bromden, con cui Randle aveva in programma di scappare in Canada, non vuole abbandonarlo in quelle condizioni: lo soffoca con un cuscino, poi sfonda la finestra e si allontana nella notte. Come abbiamo già detto, questo ruolo particolare e delicato ha portato a Nicholson il suo primo oscar, e con lui lo vinse anche Louise Fletcher, l'infermiera Ratched.
Shining, capolavoro di Kubrick del 1980, è un horror-thriller tratto da un libro di King, e con questo ho già detto tutto. Qui Nicholson è Jack Torrence, scrittore fallito che si ritira tra le montagne innevate del Colorado come custode dell'Overlook Hotel, portandosi dietro un'insipida moglie e un figlioletto disturbato, a cui non sembra neanche troppo affezionato.
I crimini che hanno avuto luogo in passato nell'albergo, l'isolamento e l'incapacità di esprimersi hanno alla fine la meglio su Jack, che impazzisce definitivamente. Tutti ricordiamo la scena in cui spacca a colpi di ascia la porta per raggiungere la moglie "Wendy, sono a casa amore!", scena che ha un illustre precedente in Giglio Infranto (1919) del famoso regista nonchè fondatore di Hollywood David Wark Griffith (qui abbiamo Donald Crisp che aggredisce Lillian Gish).
Lascia parecchio sconvolti, forse più di tutto il resto del film, la zoommata finale sulla fotografia del salone dell'hotel negli anni '20: in primo piano c'è proprio Jack Torrence.
Infine, Il Joker. E ho messo la maiuscola all'articolo. Non perchè non apprezzi quello di Ledger (poveretto, è pure morto), ma Nicholson ha fatto epoca.  
Batman, 1989, con la regia del mio adorato (almeno fino a Sweeney Todd)  Tim Burton, è stato il primo film sella serie su Batman della Warner (seguiranno Batman-il ritorno, sempre di Burton, i poco apprezzabili Batman Forever e Batman & Robin di Schumacher, per poi riprendersi un po' con i film di Nolan). Nicholson brilla di pazzia e crudeltà accanto a Micheal Keaton, perfetto nella parte del supereroe che in realtà è fragile perchè non ha veri poteri ma solo senso di giustizia e una baraccata di soldi con cui procurarsi armi fighissime, e Kim Basinger.
Sulla cima della cattedrale di una Gotham City che sembra attingere dall'espressionismo tedesco (la scenografia non ha nulla da invidiare a Metropolis) si consuma lo scontro finale: il Joker precipita e trova la morte.
"Dimmi una cosa, amico mio. Hai mai danzato col Diavolo nel pallido plenilunio?"

lunedì 6 agosto 2012

Un racconto di guerra: l'uomo che verrà

Mi sono accorta che ho analizzato film dei più svariati paesi ed epoche storiche, ma non ho ancora parlato del cinema made in Italy. Attaccare con Fellini o Pasolini sarebbe troppo scontato e classico per me, per quanto in futuro certamente li tirerò in ballo.
Purtroppo al giorno d'oggi figure di quel tipo in Italia non ce ne sono più, e quelli che più si avvicinano non perdono occasione per fuggire e girare all'estero (come dargli torto). In un epoca in cui gli incassi maggiori sono quelli dei cinepanettoni (che per quanto "siano necessari" per soddisfare il grande pubblico non dovrebbero essere il prodotto cinematografico principale) ogni tanto sbuca qualche film che fa ben sperare in un cambiamento di rotta.
Uno di questi gioiellini è L'uomo che verrà, film del 2009 di Giorgio Diritti.
Girato tra toscana ed emilia, e ambientato durante la seconda guerra mondiale, racconta la storia di una famiglia contadina alla vigilia della strage di Marzabotto. I fatti vengono filtrati dagli occhi e dai pensieri di Martina, bambina intelligente e fragile, che ha smesso di parlare in seguito a un trauma. Sulla quotidiana lotta per la sopravvivenza e le ricorrenze importanti (come la prima comunione) grava anche il pericolo della guerra e degli abusi dei tedeschi.
Quando infine la tragedia si compirà, in un crescendo di atrocità e commozione, sarà proprio Martina, miracolosamente sopravvissuta, a trovare la forza di reagire e prendersi cura del fratellino neonato, recuperando anche l'uso della voce per cantargli la ninna nanna.
Film struggente, in un certo senso quasi neorealista (perdonate il termine usato in modo poco appropriato); girato in dialetto bolognese con i sottotitoli in italiano (che io ho ignorato perchè 1. il dialetto lo so 2.mi distraevano 3. certe espressioni locali non possono essere tradotte) ricrea perfettamente l'atmosfera e la realtà del tempo, facendoci respirare tutte le ansie, le preoccupazioni e le paure dei protagonisti. Molto apprezzato dalla critica, ricalca fedelmente gli abominevoli fatti dell'autunno del '44, compreso l'accenno a qualche personaggio realmente esistito.
Tra gli interpreti: Maya Sansa, Alba Rohrwacher e l'attore autoctono Orfeo Orlando, che ho avuto il piacere di conoscere a marzo in occasione del Festival di corti Bazzacinema (io ero lì in qualità di tirocinante-schiavetta) e che saluto cordialmente (sperando che legga il blog!!!).
Se siete dei dintorni, guardare questo film è una buon modo per ricordare la storia locale e quella dell'Italia intera.

venerdì 3 agosto 2012

Al cinema con mamma....very british

Se c'è una cosa che apprezzo sono le rassegne estive, quelle che ti propongono i film più belli/lucrosi della passata stagione cinematografica: puoi vedere, con tutta la potenza del grande schermo (anche se sei all'aperto seduto su scranini di plastica), tutte le pellicole che per un motivo o per l'altro non hai potuto apprezzare all'uscita. In particolare io e mia mamma c'eravamo perse The Iron Lady, perchè nel periodo in cui era al cinema qui c'era un metro di neve per terra e le uscite serali non strettamente necessarie non erano contemplate.
Facendo parte di una famiglia composta da 3 donne e 1 uomo (il sesso dei gatti è irrilevante), in casa mia sono sempre girati film molto strappalacrime e femminili come Fiori d'acciaio e Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, che tra l'altro sono bellissimi, ed è tradizione che almeno due-tre volte l'anno si vada al cinema con mamma a vedere cose del genere (lasciando papà comodamente a casa sul divano a vedere Un posto al sole, la soap non il film, di cui è stranamente appassionato).
Devo dire che negli ultimi anni ci siamo orientate verso film che poi hanno avuto riconoscimenti molto importanti e che per combinazione trattano di storia inglese.
Ecco allora il trittico british che piace alla mamma:
- The Queen, film del 2006 di S. Frears
Racconta di come la regina Elisabetta affrontò i giorni successivi alla morte di Diana (agosto 1997) edel suo rapporto con Tony Blair, primo ministro laburista arrivato al governo dopo quasi vent'anni di amministrazione conservatrice.
Nella parte della regina troviamo Hellen Mirren, che per questa interpretazione ha vinto una svagonata di premi tra cui un Golden Globe come miglior attrice in un film drammatico e l'Oscar come miglior attrice protagonista e che nella sua carriera ha impersonato ruoli di altre grandi donne della storia inglese come Elisabetta I per la tv (Elizabeth I, 2005) e Morgana (Excalibur, 1981, se volete farvi una risata...) Inutile dire che mia madre l'adora.
 Film molto bello che spiega bene il carattere e il punto di vista della sovrana.
- Il discorso del re, film del 2010 di T. Hooper
In seguito alla morte del padre Giorgio V e all'abdicazione del fratello maggiore Edoardo VIII (stregato dall'americana Wallis Simpson), il secondogenito Albert sale al trono come re Giorgio VI. Il problema è che soffre di balbuzie, e la cosa non è tanto simpatica, soprattutto negli anni '30 in cui ormai si richiedeva a un sovrano di tenere discorsi alla radio e alla vigilia di una guerra mondiale. L'australiano Lionel Logue aiuterà sua maestà a rilassarsi e a gestire al meglio questo disagio.
Oscar al film, alla regia e al protagonista Colin Firth, nomination come miglior attore non protagonista a Geoffrey Rush (Logue) e mezzo cast rubato a Harry Potter (ma è normale, gli attori inglesi sono bravi e girano sempre quelli) con la Bonham Carter a fare la regina, Micheal Gambon nei panni di re Giorgio V e Timothy Spall nel ruolo di Churchill.
Film toccante e delicato, campeggia nella mia videoteca accanto a Via col vento (il mio preferito); per una volta è bello vedere Helena senza gonne spiegazzate darkettone (per quanto adori lei e il suo pazzo consorte), nei rassicuranti panni della futura regina madre
- e appunto The Iron Lady, 2011, di Phyllida Lloyd
La vita della lady di ferro Margaret Thatcher, vista attraverso i ricordi dell'anziana signora. Si racconta la gioventù della determinata Margaret Roberts, l'incontro con Denis Thatcher e la carriera politica culminata negli anni da primo ministro ('79-'90).
Meryl Streep è perfetta come al solito e si aggiudica il terzo Oscar.
L'intento non è addolcire il personaggio e il suo operato politico, ma raccontare la lotta di una donna capace e caparbia per imporre ciò in cui credeva fermamente e che considerava giusto, e allo stesso tempo la fragilità di una signora che affronta la vecchiaia privata della presenza dell'amatissimo marito.


mercoledì 1 agosto 2012

Steampunk ed ecologia...i racconti di Miyazaki

Io quando guardo un film, soprattutto se l'intento principale è passare una bella serata, sono molesta.
Nel senso che amo fare commentini sarcastici, ironici e a volte cinici (o anche stupidi) e di norma la gente che vede il film con me si innervosisce e mi intima di tacere (uff...), soprattutto quando siamo al cinema, non rendendosi conto che 8 volte su 10 dico cose interessanti e inerenti alla comprensione dell'opera (sì vabbè, anche meno...)
Quindi potrete immaginare che figata è stata ieri sera vedere un film con tre maschietti che, come nella loro natura, amano fare gli idioti e sparare cavolate...tra l'altro ci siamo dedicati a cose di un certo spessore, non roba tipo The Expendables (senza offesa per Stallone e gli altri...).
Il film in questione era Laputa - Castello nel cielo, del bravissimo (e purtroppo in occidente per molto tempo sottovalutato) Hayao Miyazaki. Laputa è dell'86, ma, come molti altri suoi film (es. Il mio vicino Totoro '88, Porco rosso '92) precedenti all'oscar meritatissimo de La città incantata (2001) è stato distribuito in Italia solo negli ultimi anni.
La storia è un miscuglio di temi cari al regista (che bella la natura, scenari post-apocalittici, bambini che arrivano da non si sa dove), anticipazioni de Il mistero della pietra azzurra (che scopro ora essere una specie di rifacimento del film) e tutti gli annessi e connessi verniani e steampunkosi (si può definire Jules Verne steampunk????bè, forse è il fondatore del genere...).
La piccola Sheeta fugge da una nave volante e cade nel vuoto; a frenare la sua caduta ci pensano il suo ciondolo azzurro (ovvio) e il piccolo minatore Pazu, che al mattino si diletta a suonare la tromba sul tetto con i suoi colombi (meravigliose genialate senza senso di Hayao).
Si scopre che la ragazzina è l'ultima discendente e vera sovrana di Laputa, un'isola galleggiante nel cielo (Cameron con Avatar non si è inventato niente), che anche Pozu conosce perchè suo padre la fotografò anni addietro. Sheeta è inseguita dall'esercito del colonnello Muska, che vorrebbe il potere di Laputa, e da una banda di sgangherati pirati dell'aria, che invece vorrebbero il ciondolo (pari pari ai tre ceffi della pietra azzurra, ma questi sono 3 scapoloni capitanati da una fortissima mamma, che ha la faccia tipica delle vecchie di Miyazaki).
Con l'aiuto dei pirati (che in realtà sono buontemponi) e di Pozu, Sheeta riesce a raggiungere Laputa ma, per sottrarla dalle mire di Muska, pronuncia una parola segreta e la distrugge; rimane soltanto un immenso giardino volante con al centro il grande albero e la figura poetica del solitario giardiniere robot, che vivrà in eterno e felice in compagnia di piante ed animali.
Piacevole film e bellissimo modo di passare la  serata, nonostante battute che sconfinavano nel cattivo gusto ("Ma lo sanno che con un titolo così non lo possono distribuire in Spagna?"), ma che si può fare, sono uomini...

lunedì 30 luglio 2012

Mostriciattoli e fenomeni da baraccone...

Seconda settimana dalla nascita del blog!
Sembra anche che qualcuno lo stia leggendo...grazie mille e continuate così....
Allora, siccome nei 2 prossimi post ho in mente di trattare cinema contemporaneo (o perlomeno degli ultimi vent'anni) oggi facciamo un altro bel saltone indietro e parliamo di....Freaks!!!!
Freaks è uno dei miei film sorpresa, uno di quelli che scopri per caso e che, per un motivo o per l'altro (bellezza, singolarità, bizzarria), non riesci a dimenticare.
Uscito nel '32, riporta le vicende di un gruppo di artisti del circo, molti dei quali menomati o deformi, e della tragica storia d'amore del nano Hans per la bellissima, malvagia e "normale" trapezista Cleopatra.
Quando il nano dal cuore tenero eredita una grossa somma di denaro, la scaltra approfittatrice accetta di sposarlo, per poi ucciderlo e fuggire con i soldi e il suo amante Hercules. Le cose però non vanno come previsto: alla cena delle nozze, Cleopatra insulta pesantemente gli amici di Hans, definendoli appunto "freaks", mostri, aborti, fenomeni da baraccone. Resi sospettosi dal comportamento della donna, i freaks scoprono le sue intenzioni, salvano Hans da morte certa e inseguono i due amanti: la loro vendetta è spietata. Hercules sarà evirato e ucciso, Cleopatra perderà un occhio, gambe e lingua, e sarà destinata a comparire al pubblico come "donna gallina": alla fine diventerà ciò che la spaventava di più, una freak, una di loro ( « Gooble, gobble, we accept her, we accept her, one of us, one of us!. » )

Film maledetto, subì una grossa censura, soprattutto quando provocò un aborto spontaneo a una spettatrice, ma è ancora oggi molto amato dai maniaci del genere.
Il regista è Tod Browning, che l'anno prima aveva diretto Bela Lugosi in Dracula (se volete approfondire la questione horror/perverso/B-movie, guardate Ed Wood di Tim Burton...sull'argomento Burton tornerò più e più volte in futuro).
La prima cosa che ho fatto dopo aver visto il film è stata passare una buona mezz'ora su internet a cercare informazioni sugli attori: non potevo credere che quei "mostri" fossero veramente esistiti, soprattutto perchè nel film vengono trattati con rispetto e umanità, cosa che adesso è segno di intelligenza e civiltà, ovviamente, ma che negli anni '30 non era così scontata.
Tra i partecipanti al film ricordiamo:
- Harry Earles e la sorella Daisy, che nel film interpretano Hans e la fidanzata Frieda; i due attori, insieme alle sorelle Gracie e Tiny (tutti affetti da acondroplasia), avevano fondato la compagnia teatrale "The doll family"
- Prince Randian, detto anche "Il lombrico umano", nato senza gambe nè braccia, ma capace di rollarsi e accendersi una sigaretta da solo
- il microcefalo Schlitze
- le gemelle siamesi Daisy e Violet Hilton
- Frances O'Connor, la ragazza senza braccia
- Johnny Eck, il ragazzo senza gambe
Buona parte di questi attori ebbe una lunga carriera nell'ambito  teatrale e circense, riuscendo a sfruttare le proprie particolarità in uno dei pochi modi possibili all'epoca. Fieri della propria diversità, ne avevano fatto motivo d'orgoglio e non si ritenevano inferiori agli altri per questo.
Dalla conoscenza di queste vite al limite si può trarre una sola lezione: per vivere meglio e a lungo bisogna accettarsi.


sabato 28 luglio 2012

La trilogia di Apu

Bene, oggi parliamo di cinema indiano. Prima di Bollywood.
La trilogia che tratteremo, composta da Il lamento sul sentiero, Aparajito e Il mondo di Apu, è veramente una cosa da maniaci del genere, almeno negli ultimi tempi. I tre film, girati dal regista indiano Satyajit Ray tra il 1955 e il 1959, sono ambientati negli anni '20-'30 e raccontano le vicende di Apu (che non è quello dei Simpson e neanche mio cognato, soprannominato così da mia sorella) dalla sua nascita fino alla paternità.
Ne Il lamento sul sentiero, veniamo a conoscenza della famiglia di Apu, composta da genitori e sorellina; il padre, sacerdote e uomo di lettere, guadagna ben poco e la madre porta avanti la casa con modestia e preoccupazione. I pochi privilegi sono riservati al figlio maschio Apu (classico), mentre la sorella maggiore Durga viene istruita, controvoglia, ai lavori di casa da brava femmina. Molto toccante il personaggio della zia Indir, vecchia gobba e rugosa, fotografata con un realismo sconcertante e senza alcuna paura di mostrare la verità, che vive un rapporto litigioso con la madre di Apu, timorosa di non riuscire a nutrire i figli per mantenerla.
Il film chiude con la morte di Durga, ammalatasi durante un temporale, mentre il padre era in viaggio per lavoro.
Aparajito, secondo capitolo, apre con l'arrivo di Apu e i genitori a Benares, trasferitisi in cerca di un futuro migliore e per dimenticare le sofferenza patite. Ma le cose non vanno meglio: anche il padre muore e il ragazzo rimane con la madre. Allievo brillante, Apu rinuncia alla carriera di sacerdote cui vorrebbe avviarlo la madre e parte per Calcutta, dove lavora duramente per continuare a studiare.
Nonostante la fatica, per la prima volta nella vita qui si sente nel suo elemento; riduce al minimo le visite alla madre che, un po' per malattia un po' per solitudine, muore senza riuscire a salutarlo un' ultima volta.
Se nei primi due film l'interesse di Ray era quello di catturare la situazione della famiglia di Apu, in modo quasi neorealistico ma venato di poesia (anche grazie all'abile uso delle musiche), in Il mondo di Apu c'è uno scavo psicologico maggiore del protagonista, divenuto ormai adulto. In seguito a un incidente del destino, gli tocca in sposa la bella Aparna, conosciuta la sera delle nozze; per mantenerla, Apu si barcamena in diversi lavori. L'amore che sboccia tra i due è sincero e molto romantico, culminato dall'arrivo di un figlio. La ragazza però muore di parto e Apu, sconvolto, lascia il bambino ai suoceri e fugge: solo cinque anni dopo troverà la forza di reagire, conoscere il figlio e affrontare le sue responsabilità di padre.
Lo so, raccontata così viene da pensare che Apu porti un po' sfiga, vista la quantità di gente che gli muore intorno; può anche essere, ma l'importante è ciò che questi film lasciano allo spettatore.
Emozioni forti, ricordi toccanti, atmosfere poetiche e nostalgiche, bellissime immagini tratte dalla realtà: guardare Ray è come affacciarsi sull'India, respirane i profumi, conoscerne i lati belli e quelli più crudeli, ma il messaggio finale è di speranza in un futuro migliore.

giovedì 26 luglio 2012

Persepolis

Come al solito anche ieri notte sono andata a letto tardi. Non perchè fosse il compleanno della mia migliore amica e avessimo cenato a birra (una meravigliosa Chimay Cinq Cents) e fritto misto abbondante: a mezzanotte meno dieci ero a casa.
Il problema è che sul mio comodino sono solitamente impilati dai 2 ai 5 libri che leggo contemporaneamente. Adesso ospita, in ordine dal basso verso l'alto, Dune di Frank Herbert (è lì più o meno da quattro mesi, prima o poi lo finirò...), l'opera completa del teatro shakespeariano, Metropolis di Thea von Harbou (sceneggiatrice dell'omonimo film e moglie di Lang) e in cima a tutti Caffè Babilonia di Marsha Mehran. Come ogni libro che parli di storia e cucina, mi ha catturato e non riesco a smettere di leggerlo. Me l'ha prestato mia sorella qualche giorno fa (anche lei ama questo genere di cose) e devo dire che mi sta piacendo moltissimo: è la storia di tre sorelle iraniane che, negli anni 80', aprono un ristorante in un grigio paesino irlandese e con le loro ricette esotiche portano un po' di calore alla gente del posto, scacciando la diffidenza dalle loro menti e la monotonia dalle loro membra vessate dal clima freddo e umido. Ovviamente si scava anche nella storia personale di Marjan, Bahar e Layla, dalla morte dei loro genitori, la fuga da Teheran alla vigilia della rivoluzione a tutte le peripezie vissute dalle ragazze.
Leggere il libro mi ha ricordato un film che ho visto poco tempo fa e che mi ha rubato il cuore: Persepolis, di Marjane Satrapi. Il film d'animazione del 2007 è la trasposizione cinematografica del fumetto (sempre della Satrapi), che altro non è che l'autobiografia dell'autrice.
La storia comincia con Marjane bambina, che vive attraverso tutti gli sconvolgimenti dell'Iran prerivoluzionario fino alla caduta della monarchia nel '79 (la Satrapi aveva una decina d'anni), prosegue con la sua adolescenza e tutte le restrizioni del nuovo regime, e finisce con una Marjane ventiduenne che lascia definitivamente famiglia, marito (sposato troppo presto e troppo in fretta, solo per poter camminare insieme per strada) e paese per potersi costruire un futuro migliore.
Mi ha colpito la delicatezza con cui la Satrapi riesce a raccontare anche le cose più brutali e il fatto che la percezione della realtà cambi mano a mano che la protagonista cresce. Il modo semplice ma onesto con il quale i genitori raccontano ciò che sta succedendo a Teheran alla piccola Marjane è un ottimo esempio di come, secondo me, bisognerebbe parlare con i bambini (inutile tacere certe cose perchè sono brutte, meglio spiegarle e parlarne assieme, altrimenti succede che le nuove generazioni non sanno neanche cos'è successo in Italia negli ultimi anni e la cosa, francamente, non lascia ben sperare sul futuro).
Io non ero ancora nata quando c'è stata la rivoluzione in Iran, a scuola nessuno me l'ha mai spiegata e quello che sapevo a riguardo veniva da discorsi fatti in casa, qualcosa visto in televisione (tipo Soraya con Anna Valle, per capirci) e studio individuale per l'esame di storia contemporanea all'università; tralasciando il discorso su quali avvenimenti dovrebbe includere il programma di storia, penso che questo film fornisca un affresco ben preciso su quel periodo dell'Iran e del Medio Oriente. Sono cose accadute neanche tanto lontano da qui, non così tanti anni fa: forse sarebbe bene conoscerle.



lunedì 23 luglio 2012

Méliès, Scorsese e viaggi sulla luna

Ci ho pensato su tutto il giorno e alla fine ho deciso che per iniziare in bellezza bisognava partire dalle origini del cinema, quindi da...Georges Méliès.
Sì, lo so che il cinema nasce con i fratelli Lumière la sera del 28 dicembre 1895 al Grand Cafè sul Boulevard des Capucines eccetera eccetera, ma gli inventori si erano limitati a riprendere scene che si trovavano davanti agli occhi, non c'erano "attori", anzi alcune delle persone filmate facevano ciao ciao con la manina e guardavano fisso in camera con lo sguardo baldanzoso, un po' come facciamo adesso noi con i filmini delle vacanze...
Una delle poche (forse l'unica) scena "preparata" è  L'arroseur arrosé, quella poi copiatissima gag dove c'è il giardiniere che annaffia le piante, un simpaticone dietro mette un piede sulla canna dell'acqua, l'altro guarda nel tubo e finisce annaffiato...
Méliès è un'altra cosa.
Prestigiatore e illusionista, era presente la famosa sera al Boulevard des Capucines e rimase tanto impressionato dal nuovo marchingegno che se ne fece costruire uno identico.
Applicò al cinema tutti i suoi migliori trucchi di magia e inventò storie fantastiche per impressionare il pubblico. Fu pioniere di diverse tecniche cinematografiche, fondamentale il montaggio (bisogna saper dove tagliare la pellicola per far sparire un personaggio dallo schermo), ma anche sostituzione, dissolvenza ed esposizione multipla. Le sue pellicole venivano colorate a mano una ad una (pensate che noia...)
Ad oggi viene celebrato come l'inventore degli effetti speciali.
Dunque, niente Méliès, niente Guerre Stellari, niente Blade Runner, niente Matrix.
I suoi film (ne fece oltre 1500, ne sono rimasti pochi) sono deliziose e divertenti scenette dove la gente si moltiplica, scompare o ha strane esperienze in luoghi misteriosi.
Il più noto è certamente Le Voyage dans la Lune del 1903, ispirato al romanzo di Verne: un'allegra combriccola di simil-scienziati parte, centra con l'astronave l'occhio della Luna (dai che ce l'avete presente!!!) e viene assalita dai Seleniti (acrobati delle Folies-Bergère).
Quello che sto dicendo non vi è nuovo? Probabilmente siete stati al cinema a vedere Hugo Cabret (2011) di Scorsese, film molto bello tratto dal libro di Brian Selznick (La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, 2007). Ad interpretare il giocattolaio scorbutico, che poi si scopre essere l'ormai anziano e dimenticato Georges Méliès, c'è sir Ben Kingsley, ottimo come suo solito.
Bene, che altro posso dirvi se non consigliarvi di avventurarvi nelle sabbie del tempo e guardare qualcuno di questi film...sono cortissimi (da pochi secondi a un massino di 40 minuti,  Le Voyage dans la Lune dura in media 15 minuti), facilmente reperibili via etere e vi strapperanno almeno un sorriso.

P.S. Ieri sera io e il mio moroso (termine tipicamente emiliano) abbiamo guardato Into the Storm - La guerra di Churchill, film tv del 2009, diretto da Thaddues O'Sullivan, che racconta gli anni di guerra da primo ministro di Churchill. Protagonista è Brendan Gleeson, scelta secondo me molto azzeccata (e anche truccatori molto bravi, a momenti non lo riconoscevo).
Purtroppo si era fatto tardi e io avevo davanti mezz'ora di viaggio per tornare a casa, quindi l'abbiamo stoppato a 40 minuti dalla fine rimandando il seguito alla prossima volta, però fino ad ora mi è piaciuto abbastanza e lo consiglio a chi è interessato a questo genere di storie.













































domenica 22 luglio 2012

In principio era il caos...

In principio era il caos...no, non voglio citare Esiodo, ma stamattina c'era molto caos nella mia testolina quando combattevo davanti al computer per cercare di aprire il blog.
A dire la verità, è un po' di tempo che c'è caos nella mia mente: come la facciamo fruttare questa laurea? continuo a studiare? cosa voglio fare VERAMENTE in futuro? come posso raggiungere i miei obbiettivi?
Necessita fare un po' di ordine, e l'unico modo da me contemplato è affrontare un problema per volta.
Mi piace scrivere e c'è chi dice che lo faccio anche bene...in attesa di riuscire a trovare determinazione/ispirazione/giusta configurazione astrale per scrivere il capolavoro della mia vita (su cui rimugino da ben 9 anni), ho deciso di provare a scrivere delle mie passioni.
In testa troviamo il cinema, seguito a ruota dalla letteratura, dal teatro, da qualunque espressione culturale riesca a rapirmi...
Preparatevi quindi alle mie recensioni, a volte sognanti, a volte entusiaste, a volte anche un po' cattivelle, ma sempre oneste.
Oggi però è domenica, quindi ora mi rilasserò e  guarderò un bel filmino che vi racconterò domani, perchè tutte le nuove e più belle esperienze si iniziano di lunedì  (diete a parte) e poi ora non ci voglio pensare, ci penserò domani, perchè dopotutto...domani è un altro giorno!